• Note, falsi assiomi, chiose e sommessi concreti consigli di una consigliera sulla redazione dei nuovi strumenti urbanistici

    Il Piano Strategico dovrebbe contenere la struttura politica di buon governo del territorio che si traduce poi nello strumento operativo del Piano Strutturale. I due documenti devono essere uniti, confrontati e migliorati attraverso periodiche verifiche, parte integrante del metodo di gestione dello sviluppo del territorio. 

    Non dimentichiamo che nell’ultimo decennio, le parole “monitoraggio”, “verifica” “quantità” sono entrate nelle bocche delle persone soltanto quando l’esplosione è divenuta talmente evidente che nascosta sotto un tappeto non entrava più e qualcuno, da ultimo e per forza, ha dovuto ammettere che i limiti dell’edificato erano stati abbondantemente superati e a scapito di verde e servizi

    Per prima cosa è necessario aggiustare il tiro sull’attività edilizia e delle costruzioni orientando tutte le discipline di trasformazione del territorio verso le finalità di recupero dell’esistente sotto il profilo residenziale, produttivo e dei servizi; questo comporta una revisione tecnica della determinazione del fabbisogno edilizio: l’Urbanistica (disciplina che da anni a Lucca non viene messa in pratica), l’Architettura (anche la sua assenza si è fatta sentire) e le Scienze ambientali devono mettersi a servizio della sostenibilità degli interventi, limitando il consumo del territorio e ripensando il metodo delle addizioni e degli ampliamenti; queste materie devono avere il compito di individuarne i parametri su valutazioni socio-economiche alternative a quelle dello sviluppo edilizio fine a se stesso.

    “Quando il mattone va tutto va” è un assioma senza senso, ormai, per fortuna, superato.
    Occorre dimostrare che sviluppo urbanistico e sviluppo edilizio sono spesso in conflitto tra loro e che a farne le spese è “il bene del territorio”, inteso come microcosmo che racchiude e relaziona l’ambiente, la qualità della vita, il diritto alla felicità della comunità.
    Concretamente devono essere ricreati i contesti all’interno dei quali inquadrare il fabbisogno come sviluppo (e non il contrario, come spesso è avvenuto): la nuova edilizia residenziale, quella funzionale a fronteggiare i problemi sociali, non deve avere solo le “spalazzate” e le “scondominiate” per esprimersi, è doveroso fare di meglio!
    Va ritrovato e valorizzato un tessuto intermedio in cui le case tornino a essere case, luoghi dell’abitare; dove gli spazi del commercio riprendano la fisionomia di decorosi mercati naturali; in cui i servizi ridiventino accessibili e commisurati alle esigenze della popolazione che li usa. In questo quadro dovrebbe riposizionarsi anche l’imprenditoria del settore rivalutando i mezzi e le capacità produttive delle aziende medio-piccole, le competenze artigianali e manuali e la manodopera a chilometro zero.

    Occorre una drastica semplificazione delle norme rendendone agile l’applicazione laddove si effettuino interventi commisurati ai bisogni. Occorre un’attenzione speciale alle operazioni che, tenendo conto delle condizioni reali dei manufatti esistenti, mireranno a renderli sicuri, riutilizzabili, facilmente manutenibili, dotati di reti di servizi e coerenti alle forme del paesaggio e alla loro evoluzione. Abbiamo visto che molta imprenditoria e industria edilizia non si è dimostrata all’altezza di gareggiare a gare d’appalto di una certa rilevanza come quelle del Piuss, perché?

    Se i principi sono saldi, se si è convinti che siano validi, allora dobbiamo saperli comunicare e incentivare. Occorre una campagna per favorire, incoraggiare, finanziare il recupero del patrimonio edilizio esistente in accordo e collaborazione con le categorie professionali e il loro associazionismo. Occorre una progettazione adeguata e aggiornata, tecnicamente e tecnologicamente; una progettazione da premiare sul piano della qualità architettonica, della tutela dei valori tradizionali, dell’innovazione e del rilancio delle forme di aggregazione sociale e delle relative culture.

    I criteri vengono prima dei tavoli di lavoro, ne sono il presupposto. Se i soggetti interessati li condividono possiamo iniziare a montare le parti significative del Piano Strategico evitando soluzioni frettolose che rischiano l’approssimazione: non va fatto tutto e tutto insieme. Oggi siamo chiamati a scelte che delineeranno gran parte del volto della nostra città e che lasceranno l’impronta dei nostri tempi, il nostro passaggio. Abbiamo la responsabilità e il privilegio di dare forma a un segmento di storia urbana.

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One Responseso far.

  1. francesco petrini ha detto:

    Ottimo intervento: Urbanistica, Architettura e Scienze ambientali devono, come scrive lucidamente Serena, concorrere alla configurazione e salvaguardia del territorio.
    Bisogna programmare attingendo a tutte le discipline e conoscenze e risorse umane. Poi la politica, sentite le categorie e la cittadinanza che vorrà sapere, deciderà sul Piano strategico che, mi pare d’aver capito, è alla base del Piano strutturale.

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