• Complemento di mezzo

    La buona politica necessita di sana informazione che necessita di bravi giornalisti che necessitano della libertà che necessita di un’indipendenza economica che necessita di un lavoro dignitoso che necessita di una buona politica (la spirale da perpetuare).

    L’incontro di lunedì 30 aprile ad Artè di Capannori “Il giornalismo che (non) c’è” ha posto l’attenzione su una questione fondamentale come quella dell’informazione. E da lì a tutte le problematiche legate alla professione del giornalismo.
    Lo spazio nel quale pensiamo, parliamo e agiamo è stato definito, non a caso, “società dell’informazione“. L’innesto di nuovi orizzonti comunicativi nel nostro quotidiano ha ampliato a perdita d’occhio la possibilità di deglutire (non sempre passando dalle papille gustative) notizie e considerazioni. Con la molta informazione a nostra disposizione sembrerebbe garantita una pluralità di sguardi sulla realtà, ma, sappiamo, non è proprio così.

    Quello che appare come un “paradiso” della democrazia rivela debolezze e criticità preoccupanti. L’accelerazione delle informazioni ha modificato il dna del lettore stesso che, stordito da un turbinio di parole, diviene spesso non-lettore. Con questa espressione non voglio intendere chi non legge in senso propriamente meccanico, ma chi legge non lasciando seguire alla lettura la necessaria pausa per metabolizzare attraverso la riflessione quanto letto. La fretta induce a consumare “a occhi chiusi”, talvolta “a naso tappato”. E finisce con il rendere sottilissima la linea che demarca la verità dalla menzogna. Affermazioni opposte allineate sullo stesso piano, con uguale possibilità di “arrivare”, non garantiscono equità di espressione ma obnubilano la limpidezza dei fatti. Un humus di progressivo disinteresse e nichilismo ha reso fertile il terreno della mistificazione. E su quel terreno cresce, rigoglioso, il disimpegno o, se preferiamo, l’antipolitica.

    Una società, la nostra, il cui tessuto culturale è ferito dalla banalizzazione sistematica del vero. Che sia questa la faccia più inquietante del populismo? Il poter dire senza censure si evolve spesso in poter dire ciò che ci passa per la testa, senza verifiche sul piano dell’attendibilità. La questione diviene politica: una ritrovata passione per la verità, da scrivere, leggere e tramandare è obiettivo di una visione di governo che pare, oggi, mancare completamente. Occorre ripristinare un senso condiviso di informazione come bene comune, da regolamentare e istituzionalizzare.

    Vivere con responsabilità il proprio tempo è indirizzare l’azione oltre “la neutralizzazione e l’occultamento della politica dietro pratiche di seduzione demagogica”, per utilizzare una rotonda espressione di Gustavo Zagrebelsky.

    Il buon giornalismo è fatto di attenzione, di capacità di guardare e vedere, di mettere in relazione, di cercare cause ed effetti. Il buon giornalismo è un servizio pubblico in senso stretto perché il corretto fluire delle informazioni è lo strumento primario che il cittadino adotta per rivendicare i propri diritti, per costruirsi un’opinione, per avvalersi di argomenti certi di dialogo nelle relazioni sociali. Il buon giornalismo è ancora, e soprattutto, volontà politica di costruire reale partecipazione.

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