• I Quindici

     

    Negli anni Settanta uno dei volumi che preferivo dell’enciclopedia “i Quindici” era il numero 14 “Fare e Costruire”… È bello progettare un oggetto, costruirlo, capirne i meccanismi, gli ingranaggi. Dall’idea alla realizzazione, un iter magico: il cantiere, l’organizzazione, la logistica, i ruoli di ognuno, i materiali, le verifiche… qualcosa che prima non c’era adesso c’è.

    Pensiamo a quello che deve essere stato il cantiere per la realizzazione delle nostre Mura. Capomastri, muratori, scalpellini organizzati e coordinati dall’Offizio delle Fortificazioni.

    Cinquecento anni fa, i nostri concittadini sono stati in grado, con sacrifici, sapienza e organizzazione di realizzare una macchina difensiva come quella che, ancora oggi, ogni giorno possiamo vedere e vivere in un luogo di armonia e bellezza.

    Ma una costruzione, un’opera pubblica dal dopoguerra ad oggi degna di essere ricordata, un edificio di architettura contemporanea non mi viene in mente; forse il palazzo Inpdap di viale Barsanti e Matteucci progettato negli anni Sessanta da Portoghesi? Forse sono troppo ignorante o di corta memoria?

    Negli ultimi decenni siamo stati in grado di realizzare qualcosa d’importante, di bello, di utile?

    Siamo stati in grado di recuperare spazi esistenti, com’è invece accaduto altrove, dando alla nuova realizzazione un’impronta del nostro tempo che non fosse solo la creazione di appartamenti, negozi o uffici?

    Un problema di risorse? Forse a Lucca non ci sono professionisti o maestranze all’altezza?

    Ogni opera d’arte, si sa, è inventata, realizzata per sopravvivere al tempo, raccontare, anche magnificare un committente o un’epoca, ma non necessariamente per un mero ritorno economico.

    A guardare le poche realizzazioni pubbliche odierne si ha come l’impressione che se non l’arte (non pretendiamo tanto anche se dovremmo osare) nemmeno la dignità sia stata cercata, il decoro sfiorato, la decenza e spesso nemmeno l’utilità. Tutto pare fatto per durare poco e speculare molto.

    Gli spazi interni alla città se sono belli è perché li abbiamo trovati lì, ereditati, non certo perché in grado di costruirli noi. Nelle periferie, i vuoti urbani, sono spazi d’avanzo senza disegno, senza un’idea, lasciati lì decorati dalle erbacce… Mi si dirà: “ma il punto non è questo”… perché c’è sempre un altro punto.

    Negli ultimi anni si è sentito parlare solo di volumi, di metri cubi, di cemento, palazzine senza arte né parte, fotocopie di progetti visti altrove, tanti discorsi, tanti annunci, tante belle parole, ma di problemi, se non risolti almeno affrontati, nessuno.

    Si cerca di riempire l’immaginario collettivo, raccontando la novellina del “fare”, del “decidere”, ma analizziamo solo per un attimo la storia, usiamo almeno un minimo la memoria.

    Ricordate i leggendari e pluribocciati PRUSST (Programmi Di Riqualificazione Urbana e di Sviluppo Sostenibile Del Territorio)? Parole camaleontiche che a Lucca hanno voluto dire tutto ed il contrario di tutto. Un concorso bandito dal Ministero dei Lavori Pubblici per riqualificare la città attraverso progetti sostenibili legati fra loro da un preciso filo conduttore.

    Nel 1999 il Comune agli albori di quello che il marketing fazziano chiamò “Rinascimento lucchese”, presentò un insieme disarticolato di interventi faraonici. Logica volle che quel calderone che niente aveva di interesse collettivo né di sviluppo sostenibile, venisse bocciato senza appelli. Quella congerie di progetti ritornò negli strumenti urbanistici tramite i “Progetti Norma” con i quali vitali zone della città vennero stralciate dalle regole che valgono per tutti e affidate a normative ad hoc per lasciare ai privati carta bianchissima.

    Dopo questa bocciatura si avvicendarono diversi assessori: il prof. Gilberto Bedini fu sostituito col geometra Chiari, sostituito col dottor Fazzi che lasciò poi spazio al ragionier Ghiglioni.

    L’eredità di nove anni di amministrazione Fazzi, l’anno di commissariamento lasciato come dono alla città e poi cinque lunghi lenti anni di Favilla sono stati caratterizzati da una politica urbanistica spregiudicata che ha lasciato una città con tanti appartamenti e con servizi insufficienti dopoché le casse comunali si erano riempite di oneri di urbanizzazione… volatilizzati. Si dirà: ma abbiamo un sottopasso in viale Castracani! Vero, ma senza opere connesse, non serve a nulla. Inoltre una via antica quanto la città come viale San Concordio è stata chiusa, isolando un intero quartiere, con un muro che non è utile nemmeno per disegnarci murales. In piena era fazziana si cominciò a masticare la parola “riqualificazione” che però rimase parola vuota: si fecero piste ciclabili fuori norma e scollegate tra loro, si invitarono ministri e ministresse ad annunciare interventi faraonici come la Lucca-Modena… peccato però che la morsa dei tir ingolfa ancora oggi la circonvallazione perché nulla è stato fatto. Si volle, fortissimamente volle, un Planetario che proiettasse la volta celeste e che invece riflette, a tutto tondo e tutt’oggi, l’inconcludenza di un modus operandi politico fallimentare, basato sul progettar facendo e facendo male!

    E l’aeroplanino all’uscita dell’A11 (60 mila euro di basamento in cemento armato) che tutto può sembrare fuorché il monumento a Carlo del Prete?

    E i campi da golf, la passerella pedonale sul Serchio, il Polo fieristico inaugurato quando ancora non c’era nulla costato “più del fiume ai lucchesi”? E lo Steccone nell’area Gesam? E le scatole cinesi della Lucca Holding e la Polis immobiliare?

    Questa è la lucchesità?

    Quel “Rinascimento” si chiuse nella lunga notte del 6 giugno 2006 quando la sua stessa maggioranza decise di sfiduciare Fazzi affidando la città, umiliata, a un lungo commissariamento. 

    E allora che cosa è stato il “fare” negli ultimi quindici anni? Quindici come i volumi dell’Enciclopedia degli anni Settanta.

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